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Le blog de Julien Salingue - Docteur en Science politique

À la recherche de la Palestine

Come gli Stati Uniti hanno organizzato un tentativo di putsch contro Hamas



21 Maggio 2008


Circa un anno dopo la divisione politica tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, mi propongo in questo articolo di ritornare sulla concatenazione degli avvenimenti che hanno portato a questa divisione senza precedenti nella storia del movimento nazionale palestinese. Oggi in effetti sembra che, lungi dall’essere solo il prodotto di “rivalità inter-palestinesi”, questi avvenimenti portino il segno della politica di "regime change" dell’Amministrazione Bush. Il fine di questo lavoro non è fare delle “rivelazioni”, in quanto l’essenziale degli elementi di questo articolo è noto a coloro che seguono da vicino l’attualità politica palestinese. Operando questa “carrellata” si tratta, piuttosto, di comprendere meglio la situazione politica e le attuali dinamiche nei territori palestinesi.


« Regime Change » ? 1

La dottrina del « Regime Change », o « Cambio di regime », non è un’invenzione dell’Amministrazione Bush. Un semplice sguardo sulla Storia del XX secolo ci offre molteplici esempi di tentativi, riusciti o meno, di sostituzione di un regime per mezzo di un intervento esterno diretto o indiretto : Iran (1953), Guatemala (1954), Cuba (1961, tra gli altri…), Cile (1973), Panama (1989), Somalia (1993)… La lista è lunga e non è esaustiva. Questa pratica non è appannaggio dei soli Stati Uniti : anche l’URSS vi fece ricorso nei paesi dell’Est, come la Francia in Africa.

L’Amministrazione Bush l’ha semplicemente riattualizzata, sia con il suo sostegno in appoggio a movimenti d’opposizione di poteri in carica (Georgia, Ucraina, Libano, Venezuela), sia con interventi militari diretti (Afghanistan, Iraq). Quale che sia l’epoca ed il metodo, permane una costante : la sostituzione di un regime giudicato ostile agli interessi economici, politici e diplomatici della (o delle) potenza/(e) iniziatrice/(i) del « Regime Change » con un regime « amico ». Talvolta si può anche trattare di « salvare » un regime alleato minacciato di essere rovesciato da elezioni democratiche o da un movimento popolare, come fu il caso dell’intervento sovietico in Ungheria (1956) o in Cecoslovacchia (1968).

Poco meno di un anno dopo gli scontri armati tra milizie di el Fatah e di Hamas a Gaza, risoltisi nella divisione politica tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, con la messa in piedi, il 18 giugno 2007, del « Governo d’urgenza » di Salam Fayyad in Cisgiordania, è ormai assodato che i Palestinesi non sono stati i soli attori degli « avvenimenti ». Ora mi propongo di sintetizzare i diversi elementi che portano a concludere che sono stati l’Unione Europea, Israele e, soprattutto, gli Stati Uniti aiutati da alti responsabili dell’Autorità Palestinese, ad organizzare il tentativo semi-abortito di rovesciare il governo dominato da Hamas e questo a partire dall’indomani delle elezioni legislative del gennaio 2006.


La vittoria elettorale di Hamas

La schiacciante vittoria di Hamas nelle elezioni legislative del gennaio 2006 è stata per molti una sorpresa. Se numerosi osservatori prevedevano che Hamas potesse sopravanzare el Fatah, pochi si attendevano che il movimento ottenesse una tale maggioranza (74 seggi su 132, contro i 45 di el Fatah). Anche in Hamas, alcuni rimanevano sorpresi. Così, Mohammad al-Rantissi, fratello del dirigente storico Abd al-Aziz al-Rantissi 2 spiegava, nel dicembre 2005, che Hamas sperava di ottenere voti sufficiente per essere un’opposizione consistente, ma soprattutto che non pensava di ritrovarsi nella situazione di dover prendere il comando dell’Autorità Palestinese 3.
Pure per el Fatah, anche se numerosi militanti e quadri avevano sentito soffiare il vento della sconfitta, era stata una vera sorpresa, specialmente per i dirigenti o ex dirigenti dell’Autorità Palestinese (AP). In occasione di un incontro nel marzo 2007, Kifah al-Wawi, candidate di el Fatah nella lista nazionale, mi riferiva un fatto significativo : durante la campagna elettorale, nel corso di una pubblica riunione vicino a Hébron, Jibril Rajub, ex responsabile della Sicurezza Preventiva in Cisgiordania, spazzava via con queste parole le critiche fatte all’AP da alcuni simpatizzanti di el Fatah : « Voi potete criticarci, ma la gente non metterà Hamas al potere. Con o senza i vostri voti, noi vinceremo » 4.

Ismaïl HaniyahMa la sorpresa è sta grande in Israele e, soprattutto, negli Stati Uniti. In Israele i Servizi Segreti sono stati pubblicamente accusati d’incompetenza per non avere preventivato una tale ondata elettorale di Hamas. Dall’altra parte dell’Atlantico, perfino I più alti responsabili hanno riconosciuto il loro errore di valutazione. « Ho chiesto perché nessuno avesse visto niente in arrivo » ha così dichiarato Condoleeza Rice. « Non conosco nessuno che non sia stato preso alla sprovvista dalla dimostrazione di forza di Hamas » 5. lo smarrimento è stato tanto maggiore in quanto Mahmud Abbas (Abu Mazen) aveva accettato di indire delle elezioni legislative proprio sotto la pressione di Gorge W. Bush. Dopo aver costretto Yasser Arafat a creare un posto di Primo ministro nel 2003, Bush sperava che le elezioni fossero l’occasione per mettere in piedi un governo palestinese legittimato dalle urne e disposto a negoziare un « piano di pace » conforme alle aspettative statunitensi.

È il contrario di quanto avvenuto. La popolazione palestinese ha colto l’occasione delle elezioni legislative per esprimere il suo rigetto delle pratiche mafiose della direzione uscita dall’AP ed il suo rifiuto dei compromessi e della collaborazione con l’occupante israeliano. Il partito di Ismail Haniyah è sembrato nei territori palestinesi quello più credibile per esprimere questo mandato. Hamas ha vinto per ragioni essenzialmente politiche e non religiose 6. Per l’Amministrazione Bush, la risposta a questa Intifada elettorale, uno dei principali ostacoli per i suoi progetti di riorganizzazione politica ed economica del Medio Oriente, consisteva in due parole : Regime Change.


Il piano statunitense

La rapidità ed il vigore della reazione sono all’altezza della sorpresa provocata dalla vittoria di Hamas. Mentre dai paesi occidentali, Stati Uniti ed Unione Europea in testa, vienea organizzato il boicottaggio diplomatico ed economico, mentre Israele smette di riversare all’AP le tasse sulle importazioni e conduce un’ampia offensiva contro Hamas (arresti di diverse decine di deputati e di Ministri, massicci bombardamenti di Gaza, piazzaforte del movimento, nella primavera e nell’estate del 2006), a Washington viene elaborato un piano per rovesciare il nuovo potere ed installare un governo disposto a conformarsi ai progetti dell’Amministrazione Bush.

Il piano elaborato dagli Stati Ujniti è, sulla carta, relativamente semplice :
- Mantenere ed accentuare le sanzioni politiche ed economiche contro il nuovo potere palestinese.
- Scaricare su Hamas la responsabilità del degrado delle condizioni di vita della popolazione palestinese in seguito alle sanzioni.
- Esigere da Hamas, per togliere le sanzioni, l’accettazione delle condizioni del « Quartetto per il Vicino Oriente » : riconoscimento di Israele, rinuncia alla lotta armata ed accettazione degli accordi precedenti, in particolare degli Accordi di Oslo.
- Garantirsi che, dopo l’assai probabile rifiuto di Hamas, Abu Mazen indica delle elezioni legislative anticipate o formi un governo d’urgenza disposto a negoziare alle predette condizioni e dal quale sia escluso Hamas.
- Fornire alle forze dei sicurezza fedeli ad Abu Mazen i mezzi finanziari e logistici per affrontarsi militarmente con un Hamas che in tali condizioni tenterà necessariamente di opporsi al ritorno al potere della direzione uscente dell’AP.

Presi alla sprovvista dalla vittoria di Hamas, i Servizi statunitensi ci mettono parecchi mesi per elaborare questo scenario di « Regime Change ». In effetti, due sono gli elementi decisivi perché lo scenario giunga a compimento : il primo è scegliere il momento opportuno ; il secondo è disporre, sul versante palestinese, di alleati affidabili e determinati, se necessario, ad andare allo scontro militare con Hamas. Il momento opportuno è l’autunno 2006, dopo l’offensiva militare israeliana contro la Striscia di Gaza ed il successivo blocco. Gli alleati palestinesi sono tutti designati : Abu Mazen e la sua ristretta cerchia (specialmente Nabil Amr e Yasser Abd Rabbo), rappresentanti di una classe politico-mafiosa prodotta dagli Accordi di Oslo, la quale sa che rischia di perdere tutto in seguito alla vittoria di Hamas. Dalla primavera del 2006, questi individui e i loro sodali moltiplicano gli incontri con rappresentanti degli Stati Uniti. Un altro uomo sarà chiamato a svolgere un ruolo-chiave nello scenario elaborato dall’Amministrazione USA : Mohammad Dahlan.


Mohammad Dahlan« Mohammad Dahlan è uomo nostro » (Georges W. Bush)

Mohammad Dahlan, nato nel 1961, ex dirigente della Shabiba (organizzazione giovanile di el Fatah) a Gaza), è ospite per parecchi anni delle carceri israeliane prima di essere bandito dai territori palestinesi nel 1988. Raggiunge allora la direzione dell’OLP a Tunisi e si avvicina progressivamente ad Abu Iyad 7, acquisisce una posizione centrale nell’apparato di sicurezza della centrale palestinese e viene associato alla squadra che condurrà le trattative con Israele. È proprio per discutere di questioni di sicurezza che partecipa, nel gennaio 1994 a Roma, ad un incontro con alcuni responsabili dell’esercito e dei servizi segreti israeliani 8. Questo incontro segreto, organizzato nel quadro del processo di Oslo, sigilla la cooperazione tra il futuro apparato di sicurezza dell’AP e I servizi israeliani, specialmente nel loro comune obiettivo di neutralizzare Hamas.

Al suo ritorno nei territori palestinesi nel 1994, Dahlan è nominato responsabile della Sicurezza Preventiva (SP) a Gaza. Eserciterà questa funzione per 8 anni. La SP è un organo il cui compito, secondo i termini molto espliciti di uno dei suoi dirigenti, è quello di « sorvegliare i partiti politici, le organizzazioni e la popolazione affinché il governo possa governare » 9.

Nel corso degli anni 2000, egli prende le distanze da Yasser Arafat, moltiplicando gli appelli alla riforma dell’AP e al rinnovamento della sua classe dirigente. Nel giugno 2002 si dimette dalla SP. Nell’aprile 2003, il Primo ministro Abu Mazen lo nomina Ministro della Sicurezza Interna, malgrado le obiezioni di Arafat. Lascia il suo incarico in occasione delle dimissioni di Abu Mazen in settembre e fa il suo ritorno al governo nel febbraio 2005, quando viene nominato Ministro degli Affari Civili nel 3° governo di Ahmad Qurai. Nelle elezioni legislative del gennaio 2006, è rieletto deputato nella circoscrizione di Khan Yunes.

Dall’inizio degli anni 90, Dahlan allaccia con gli Stati Uniti ed Israele. Inoltre, costruisce una relazione privilegiata con parecchi responsabili dei servizi di sicurezza egiziani di Hosni Moubarak. Durante i mandati di Bill Clinton e poi quelli di Georges Bush, moltiplica gli incontri con responsabili dell’Amministrazione USA e della CIA. Secondo alcuni ufficiali statunitensi, Georges Bush avrebbe detto di lui, dopo un incontro nel 2003 : « E’ uomo nostro » 10. Da parte sua, Dahlan dichiara nel 2008, sul conto di Georges Tenet, Direttore della CIA dal 1997 al 2004 : « E’ semplicemente un uomo giusto, un grande uomo. Di tanto in tanto, ho ancora dei contatti con lui » 11.

Numerosi dirigenti israeliani lo giudicano degno di fiducia, sia per le sue critiche alla gestione di Yasser Arafat dell’AP, sia per il suo atteggiamento implacabile nei confronti di Hamas. Sotto la sua direzione, la Sicurezza Preventiva di Gaza ha partecipato, tra l’altro, alla violenta repressione (14 morti) di una manifestazione organizzata nel novembre 1994 da Hamas e dal Jihad e all’ondata di arresti susseguente alla campagna di attentati suicidi del febbraio-marzo 1996 (parecchi centinaia di simpatizzanti e membri di Hamas interessati). Nell’aprile 2002, il Ministro della Difesa israeliano Benyamin Ben Eliezer dichiara davanti alla Knesset di aver proposto a Dahlan di prendere il controllo della Striscia di Gaza 12.

Il nome di Mohammad Dahlan è anche associato alle guerre fratricide avvenute in seno all’AP e ad el Fatah a partire dal 2001, quando si pone la questione della successione di un Yasser Arafat ormai messo fuori gioco da Israele e dagli Stati Uniti. Dahalan è sospettato di aver sviluppato una vasta rete di corruzione, di aver messo in piedi una milizia privata di parecchie centinaia di uomini al fine di costruirsi una piazzaforte a Khan Yunes (nel Sud della Striscia di Gaza) e di poter meglio realizzare le sue ambizioni personali. Alcuni lo accusano di essere indirettamente collegato all’assassinio, avvenuto nel settembre 2005, di Mussa Arafat, cugino di Yasser Arafat nominato, nel 2004, capo della SP a Gaza per contenere l’influenza di Dahlan.

Ultimo e non minore elemento: nel luglio 2007 viene scoperta una lettera datata 2003 nei suoi vecchi uffici di Gaza, in cui egli si rivolge in questi termini a Shaul Mofaz, allora Ministro israeliano della Difesa : « Stia certo che i giorni di Yasser Arafat sono contati, ma ci lasci chiudere con lui secondo i nostri metodi, non secondo i vostri. E stia anche sicuro che (…) io darò la mia vita per mantenere le promesse che ho fatto davanti al Presidente Bush » 13. Dahlan non ha mai contestato l’autenticità della lettera.


Gli « amichevoli consigli » degli Stati Uniti

Per gli Stati Uniti Dahlan dovrà essere al centro del dispositivo di Regime Change, incaricato delle questioni di sicurezza. Gli viene fornito un sostegno finanziario e gli Stati Uniti si mettono a sua disposizione per formare ed armare i suoi uomini. Dai mesi successivi alle elezioni, le sue milizie fomentano disordini nella Striscia di Gaza ed avvengono i primi scontri con i gruppi armati legati ad Hamas. Egli dà anche il via a manifestazioni « anti-governative » di fronte ai Ministeri. Mentre nei territori palestinesi si diffonde l’instabilità, nell’autunno del 2006 sotto la pressione della popolazione e dei partiti politici avvengono delle trattative per la formazione di un governo di Unione nazionale. Gli Stati Uniti e Mohammad Dahlan tentano allora di dissuadere Abu Mazen dal pervenire ad un accordo.

Una nota inviata al Presidente palestinese dal Console Generale degli Stati Uniti a Gerusalemme alla fine del 2006, che avrebbe dovuto rimanere confidenziale ma che è stata rivelata da David Rose nel marzo 2008 14 e autenticata da diversi responsabili statunitensi e palestinesi, dà ragione a posteriori a quelli che, dal 2006, hanno denunciato il colpo di Stato in preparazione 15. Qui ne cito ampi estratti :

« Il Segretario di Stato Rice mi ha chiesto di incontrarla al fine di discutere dei mezzi con cui possiamo avanzare assieme.. (…)
Come ha sentito a New York, il Presidente Bush vuole sostenerla. (…)
Ma la nostra capacità di aiutarvi dipende in gran parte da voi. Noi possiamo fare molto di più se si mette in piedi un governo dell’AP che accetta totalmente e chiaramente i principi del Quartetto.
Anche alcuni Stati arabi chiave sono pronti a sostenervi su questa via. (…)
Sappiamo che state valutando le diverse opzioni. Noi vediamo tre elementi vitali che dovrebbero far parte della vostra strategia, qualunque essa sia :
1) Rivolgetevi al pubblico : rendete pubblica la vostra intenzione di formare un nuovo governo e spiegate quello che un tale governo potrebbe apportare al popolo palestinese ;
2) Hamas dovrà fare una scelta chiara, con una chiara data limite : Hamas disporrà di una dilazione limite per rispondere : o accettino un nuovo governo che si conformi alle esigenze del Quartetto, o lo respingano ;
3) Le conseguenze della decisione di Hamas dovranno anch’esse essere chiare : se Hamas non rispondesse favorevolmente nel tempo prescritto, voi dovreste spiegare chiaramente la vostra intenzione di dichiarare lo stato di urgenza e di formare un governo d’urgenza esplicitamente votato a questo programma.
(…) Noi pensiamo anche che voi dobbiate immediatamente rafforzare la vostra squadra. Pensiamo che dobbiate includervi delle personalità beneficiarie di un forte credito nella comunità internazionale (…).
Noi già lavoriamo a progetti di sostegno alla Guardia Presidenziale e alle Forze di Sicurezza Nazionale (…).
Se agite inscrivendovi in queste prospettive, noi vi sosterremo sia materialmente che politicamente » 16.


La trappola del Governo d’urgenza nazionale e il « piano B »

« L’opzione » scelta da Abu Mazen, con grande smarrimento degli Stati Uniti e di Dahlan, è di trovare un accordo di principio con Hamas in vista della formazione di un governo di unione nazionale. Questo governo è comunque una trappola tesa ad un Hamas anch’esso sotto pressione, in particolare dall’Arabia Saudita : esso permette di rimettere al potere una parte della direzione uscente (e battuta) dell’AP e di esigere poi da Hamas, in nome dell’unità, che esso si sottometta pubblicamente alle pretese del Quartetto. L’accordo è firmato a La Mecca nel febbraio 2007. Ma nei territori palestinesi nessuno crede alla praticabilità del nuovo governo, tanto più che ben presto, in conformità alla volontà statunitense, Abu Mazen impone delle condizioni inaccettabili per Hamas.

In effetti, gli Stati Uniti riadattano la loro strategia alla luce degli Accordi di La Mecca. Viene elaborato un nuovo documento, intitolato « Piano per la presidenza palestinese nel 2007 » o « Piano B ». Nel documento compaiono a più riprese due nomi, oltre a quello di Abu Mazen : Salam Fayyad, già alto funzionario alla Banca Mondiale ed al Fondo Monetario Internazionale, e Mohammad Dahlan. Essi stanno al cuore del dispositivo che gli Stati Uniti desiderano mettere in piedi per arrivare ad una rapida caduta del Governo di Unità Nazionale e alla definitiva esclusione di Hamas dalla direzione dell’AP. Abu Mazen dovrà affidare a Fayyad la gestione del complesso delle risorse finanziarie dell’AP e a Dahlan la gestione del suo apparato di sicurezza, che dovrà essere riformato. Conformemente ai desideri statunitensi, Fayyad viene nominato Ministro dell’Economia del nuovo governo e Dahlan Consigliere Nazionale alla Sicurezza (CNS) del Presidente Abbas, malgrado le proteste di Hamas.

La prima versione del « Piano B », rivelata anch’essa da David Rose, indica che, con la riforma dei servizi di sicurezza e la nomina di Dahlan alla loro testa, si tratta di « mantenere sotto il controllo indipendente del Presidente Abbas le forze chiave di sicurezza (…) con l’intermediazione del CNS [e di] evitare l’integrazione di Hamas in quei servizi » 17. Più in là, si può leggere che, dall’inizio del 2007, « il CNS Dahlan supervisiona, in coordinamento con il Generale Dayton, lo sforzo che viene compiuto per addestrare ed equipaggiare una forza di 15 000 uomini sotto il controllo del Presidente Abbas al fine di ristabilire la legge e l’ordine, di bloccare il terrorismo e di dissuadere le forze [armate] extra-legali » 18. Nella versione definitive del « Piano B » si può leggere che gli Stati Uniti s’impegnano a « fornire al personale della sicurezza gli equipaggiamenti e le armi necessari affinché esso possa compiere la sua missione » 19. Dunque, si giungerà ad una nuova fase. Malgrado la riluttanza di Abu Mazen, che fino alla fine spera di poter riprendere il controllo dell’AP senza spargimento di sangue, a Dahlan viene dato il via libera.


Il « colpo di forza » di Gaza

Da quel momento, la macchina è lanciata. Dahlan moltiplica le dichiarazioni provocatorie nei confronti di Hamas ; dai campi di addestramento sotto supervisione USA (in Giordania, in Egitto e a Gerico), i suoi uomini affluiscono nella Striscia di Gaza con la benedizione di Israele e con le armi degli Stati Uniti ; si moltiplicano gli incidenti con i gruppi armati legati ad Hamas, specialmente a partire da aprile, quando l’esistenza del « Piano B » viene rivelata su numerosi giornali arabi 20. Infuria la battaglia per il controllo delle forze di sicurezza, in quanto Hamas ha deciso di creare una propria Polizia nella Striscia di Gaza. Il 14 maggio, Ismail Haniyah accetta le dimissioni di Hani al-Qawasmi, Ministro dell’Interno (« indipendente »), che afferma di non aver alcun controllo effettivo sulle forze di sicurezza dell’AP e di non poter fare niente per fermare i combattimenti.

All’inizio di giugno si contano già nei due campi parecchie decine di morti. Mentre sulla stampa araba e nelle strade palestinesi Abu Mazen e Dahlan sono già da diversi mesi soprannominati i « Pinochet del Medio Oriente » 21, nei paesi occidentali e in Israele si accusa Hamas di fomentare i disordini, di aver un atteggiamento antidemocratico e di mettere in pericolo la fragile unità nazionale palestinese. Abu Mazen e Dahlan tengono più o meno gli stessi discorsi. Il Presidente palestinese accusa inoltre Hamas di essere legato ad al-Qaeda. « Il colpo di Stato di el Fatah, nella tradizione di tutti i regimi arabi non eletti che hanno anch’essi organizzato i loro colpi di Stato (…), hanno dichiarato che i loro nemici democraticamente eletti erano i « golpisti », quelli che guidavano il popolo palestinese verso « oscuri » abissi ». 22

Nelle prime due settimane di giugno, i combattimenti si moltiplicano ed ognuno capisce che lo scontro di grande ampiezza è ormai inevitabile. Il 13 giugno, il partito di Ismail Haniyah prende l’iniziativa di farla finita con le forze di Mohammad Dahlan prima che il totale delle armi e degli uomini addestrati dagli Stati Uniti raggiungano la Striscia di Gaza e che Dahlan decida di lanciare l’ultima fase dell’offensiva. In sole 24 ore, gli uomini del Consigliere Nazionale per la Sicurezza, che, contrariamente a quello che pensano gli strateghi statunitensi non godono di alcun sostegno dalla popolazione di Gaza, sono spazzati via da Hamas e quelli che possono tentano di fuggire dalla Striscia di Gaza. Parecchie centinaia di loro si ammassano alla frontiera tra Gaza e Israele, dove beneficiano della protezione delle forze israeliane che, inoltre, facilitano il loro trasferimento verso la Cisgiordania.

Mahmoud Abbas et Salam FayyadAbu Mazen e Dahlan sanno che che il pustch è fallito. Il 14 giugno, Abu Mazen scioglie il governo di unità nazionale e decreta lo stato di urgenza. Il 16 giugno, rifiuta una riunione di crisi in Siria con la direzione di Hamas. Si reca, accompagnato da Dahlan, ad un incontro con il Console Generale degli Stati Uniti. L’indomani, nomina un « governo d’urgenza » sotto la direzione di Salam Fayyad. Lo stato di urgenza permette ad Abu Mazen e a Fayyad di aggirare la normale procedura, che comporterebbe un voto di fiducia del Consiglio Legislativo Palestinese. Il Primo Ministro Fayyad viene imposto, anche ad Abu Mazen, dall’Amministrazione Bush, mentre il suo partito « Terza Via » alle elezioni legislative del gennaio 2006 non aveva superato lo sbarramento del 2%. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Israele annunciano che toglieranno le sanzioni economiche e diplomatiche, riprendendo i versamenti di denaro al governo di Fayyad e dichiarano di riconoscerlo come il « solo governo legittimo » dell’AP. Hamas ha dato una dimostrazione di forza nella Striscia di Gaza, ma non può né vuole opporsi ad Abu Mazen e a Fayyad in Cisgiordania : perché battersi per « prendere il controllo » delle zone autonome che sono di fatto sotto occupazione israeliana ?


Conclusione : dopo il fiasco di Gaza, ben presto quello della Cisgiordania...

La giornalista israeliana Amira Hass ha avuto ragione di scrivere, dall’ottobre 2006, a proposito degli scontri « interpalestinesi » : « Non è una questione interna palestinese » 23. Tutta la sequenza che ha seguito le elezioni legislative del gennaio 2006 è, in effetti, caratterizzata dagli interventi esterni, in particolare statunitensi, tendenti a modificare le dinamiche politiche dei territori palestinesi. I diversi elementi che qui ho tentato di mettere insieme mostrano senza ambiguità che gli « avvenimenti » di Gaza del giugno 2007 non sono che il prodotto di un tentativo di Regime Change orchestrato dall’Amministrazione Bush e da una frazione della direzione uscente dell’AP, pronta a tutto per tornare al potere.

Se ci mettiamo dal punto di vista degli obiettivi degli Stati Uniti, il tentativo di putsch è stato un fallimento. Gli alleati palestinesi di Washington non hanno preso il controllo della Striscia di Gaza, Hamas, anche se indebolito, non è stato messo fuori gioco ed oggi non esiste alcuna rappresentanza palestinese che possa pretendere di essere legittima per negoziare un « piano di pace » made in USA. Certo, Gaza è isolata e tagliata fuori dal mondo. Certo, oggi in Cisgiordania c’è un governo « amico » che si è fissato come compito principale quello di disarmare la resistenza e di sottomettere l’economia palestinese ai principi del libero scambio. Certo, i negoziatori palestinesi tratteranno ed affermeranno a chi vuole sentirlo che « sono consentite tutte le speranze ».

Ma, dietro le apparenze, la realtà è tutt’altra. La Striscia di Gaza è un’autentica bomba a scoppio ritardato, che presto o tardi esploderà in faccia a quelli che hanno voluto giocare agli apprendisti stregoni tentando con la forza di cambiare il verdetto delle urne. In Cisgiordania, il governo Fayyad è impopolare in quasi tutti i settori della società palestinese, a partire dagli uomini d’affari. Anche el Fatah viene criticato apertamente. Le spettacolari operazioni di « ripristino della sicurezza » a Naplus e a Jenin e i molteplici arresti di militanti e simpatizzanti di Hamas non sono in alcun caso una dimostrazione del fatto che l’AP possa contenere una nuova sollevazione. Inoltre, nessuno crede seriamente che i negoziati in corso approderanno ad una soluzione giusta per il popolo palestinese. Lo stesso Abu Mazen è ritornato « estremamente deluso » dalla sua ultima visita a Washington…

Le tergiversazioni di Abu Mazen e i penosi fallimenti di Dahlan a Gaza hanno indotto gli Stati Uniti a riporre tutte le loro speranze nel loro nuovo uomo di fiducia : Salam Fayyad. Egli ha ormai accesso ai conti dell’OLP e dell’AP e dunque gestisce l’immensa manna finanziaria degli « aiuti internazionali ». Egli ha sostituito i responsabili dei diversi servizi di sicurezza di Cisgiordania mettendo « in pensione » tutti quelli che avevano un passato politico o militare nel Fatah o nell’OLP e sostituendoli con uomini di fiducia. Al momento, l’edificio costruito dall’Amministrazione bush tiene. Ma per quanto ?

Perché, contrariamente ad Abu Mazen, Fayyad non ha alcuna legittimità « storica » nel Fatah o nell’OLP, e non può godere di un passato nel movimento di liberazione nazionale per far accettare ai Palestinesi degli accordi al ribasso. Contrariamente a Dahlan, egli non ha una rete e delle milizie devote che possano sostenerlo nel caso in cui la situazione ritorni instabile. Si può affermarlo senza tema di errore : dopo il fiasco del pustch a Gaza, sarà in Cisgiordania che la politica statunitense del Regime Change mostrerà i propri limiti.

E Mohammad Dahlan, mi chiederete ? Dopo la sua rotta di Gaza e la rivelazione della sua lettera a Shaul Mofaz, egli non fa parlare troppo di sé. Il percorso di questo individuo vieta, tuttavia, di concluderne che egli non stia preparando, in un modo o in un altro, il suo ritorno sulla scena politica palestinese. Ma egli è provvisoriamente caduto in disgrazia. Per fargli capire chi è il nuovo padrone, Salam Fayyad ha ordinato, nel luglio 2007, il sequestro di 7 milioni di dollari sui suoi conti bancari, accusandolo di distrazione di fondo...
Chi ha detto che i lupi non si mangiano tra loro ?


Version française : http://juliensalingue.over-blog.com/article-19456849.html



Note

1. Per un chiarimento sul concetto di « Regime Change », si potrà fare riferimento a Justin Vaïsse, "La diplomatie du « changement de régime » selon les États-Unis", in L'état du monde 2007, sotto la direzione Bertrand Badie e Béatrice Didiot, Paris : La Découverte, 2006.
2. Membro fondatore di Hamas (1988), Abd al-Aziz al-Rantissi è stato assassinato dall’esercito israeliano nell’aprile 2004.
3. Conversazione con M. al-Rantissi, dicembre 2005.
4. Intervista con Kifah al-Wawi, marzo 2007.
5. Citazione da David Rose, « The Gaza Bombshell », Vanity Fair, aprile 2008, disponibile su
 http://www.vanityfair.com/politics/features/2008/04/gaza200804
6. Vedi in particolare Khaled Hroub « Un Hamas nouveau ? », Revue d’Etudes palestiniennes, n°102, inverno 2007.
7. Membro fondatore di el Fatah, Abu Iyad (vero nome Salah Khalaf) era il n. 2 dell’OLP quando fu assassinato nel gennaio del 1991.
8. Vedi in particolare Graham Usher, “ The Politics of the Internal Security : The Palestinian Authority’s New Security Services ”, in Georges Giacaman e Dag Jorund Lonning (eds.), After Oslo, New Realities, Old Problems, Chicago, Pluto Press, 1998, p.153 e seg.
9. Intervista con Jihad Abu Omar, responsabile della Sicurezza Preventivaa Hebron, marzo 2007.
10. Vedi Gideon Alon, Le Ministre de la Défense offre à Dahlan le contrôle de la Bande de Gaza, Haaretz, 29 aprile 2002, traduzione francese su http://www.lapaixmaintenant.org/article68
11. Citato da David Rose, op. cit.
12. Idem.
13. Una copia della lettera è visibile su http://electronicintifada.net/v2/article7116.shtml
14. David Rose, op. cit.
15. Vedi tra gli altri Gilbert Achcar, Premières réflexions sur la victoire électorale du Hamas (gennaio 2006) su http://www.alencontre.org/Palestine/PalAchcarHamas01_06.htm
, PY Salingue, Aux côtés des Palestiniens, sans réserves ni conditions (aprile 2006) su
 http://www.ism-suisse.org/news/article.php?id=4616&type=analyse&lesujet=Résistances
, Alain Gresh, Vers un coup d’Etat en Palestine ? (settembre 2006) su
http://blog.mondediplo.net/2006-09-27-Vers-un-coup-d-Etat-en-Palestine
ou encore sur ce blog mon article Enjeux actuels de la résistance palestinienne (giugno 2006) su
 http://juliensalingue.over-blog.com/pages/2006_juin_Enjeux_actuels_de_la_resistance_palestinienne_JS-430846.html
16. « Talking points », nota del Dipartimento di Stato all’attenzione di Mahmoud Abbas, scaricabile da
 http://www.vanityfair.com/politics/features/2008/04/gaza_documents200804
17. « Plan B », scaricabile da 
http://www.vanityfair.com/politics/features/2008/04/gaza_documents200804
18. Idem
19. « Plan d’action pour la présidence palestinienne », scaricabile da
 http://www.vanityfair.com/politics/features/2008/04/gaza_documents200804
20. Il primo a rivelare l’esistenza del « Piano B » è il giornalista Giordano al-Maid, nel suo editoriale del 30 aprile.
21. Vedi tra gli altri Joseph Massad, Pinochet in Palestine ? (novembre 2006) su
http://weekly.ahram.org.eg/2006/819/op2.htm
e Tony Karon, Palestinian Pinochet Making His Move ? (maggio 2007) su
 http://tonykaron.com/2007/05/15/palestinian-pinochet-making-his-move/
22. Joseph Massad, Subverting Democracy (giugno 2007), disponibile su
http://weekly.ahram.org.eg/2007/851/op23.htm
23. Amira Hass, Not an internal Palestinian Matter, Haaretz, 4 ottobre 2006, disponibile su
 http://www.haaretz.com/hasen/spages/770053.html


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